domenica 13 ottobre 2013

Villa Arzilla rulez!

A volte mi sento addosso centomila anni e mi dico spesso - mia madre ha più energia ed è più vitale di me - e non lo dico così per dire, è proprio vero.
Prendi ieri sera in Pizzeria, ad esempio.
A me capita sempre il posto sfigato, che è quello dove ti trovi ad ammirare tutta la sera il muro che è davanti a te.
Quindi visibilità zero, che come tutte le persone poco social va benissimo per essere vista poco e nulla, ma piccolo particolare, io devo poter vedere tutto e tutti.
Invece l'Amor mio che è poco cavaliere si frega sempre il posto spalle al muro, come i bambini dispettosi.
Ho sentito delle risate, schiamazzi, gridolini dietro le mie spalle e ho pensato alla solita tavolata di ragazzini molesti (che si sa mi sono tanto simpatici), magari appena tornati dall'allenamento di calcio, come spesso è successo o qualche cena di inizio anno scolastico, visto il casino che facevano.
Mentre iniziavo già a sfogarmi in proposito con il solito malcapitato Amor mio, lui mi fa notare che sono tutte persone adulte.
Allora mi giro rischiando il torcicollo e vedo questa tavolata "Villa Arzilla", età media settantacinque, ottantacinque anni.
Scherzano fra loro, si spingono, cambiano posto spesso e volentieri come nel gioco "della sedia", c'è chi fotografa e si alza di scatto con l'energia di un ventenne ad immortalare "il bacio sulla bocca" tra un lui e una lei che sono più poetici della canzone di Fossati.

E li ho trovati stupendi.

Avete presente il film Cocoon, l'energia dell'universo? Ecco, sembravano essere appena usciti dalla piscina di quel film, riacquistando le forze della loro giovinezza.

Ad un certo punto arriva anche una torta di compleanno ed inizia il rito dell'apertura dei regali, altri urletti di stupore (quello vero, non quello finto di circostanza come spesso accade), altri baci e abbracci, altre foto, altre sedie che si spostano, sembravano una classe in gita scolastica, mi aspettavo da un momento all'altro un lui che tirava la coda ad una lei, in quei gesti buffi, teneri e dispettosi delle prime schermaglie amorose da scuola media.

Non dimenticherò mai quegli sguardi così vivi, così giovani, così ancora pieni di vita e di voglia di vita.
E l'amore, quello autentico, che resta sempre vivo a dispetto delle pieghe del tempo, delle malattie, dall'abitudine, dalle curve tortuose della vita.
Forse è proprio vero che anche se fisicamente si invecchia, se la mente resta viva e giovane resti giovane anche tu.

Per sempre.


"Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente"
( Rita Levi-Montalcini)

martedì 8 ottobre 2013

traghetto 2.0

Altro non- luogo al pari dell'Autogrill è il traghetto.
E come dicevo nel post precedente, alla fine siamo tornati in Corsica, perché a noi insicuri viaggiatori, tornare nel luogo " del delitto" dà tanta sicurezza.
E visto che noi siamo anche viaggiatori un po' pigri, figuriamoci se andavamo fino a Vado per imbarcarci (quattro ore e mezzo di traversata), ma no, siamo partiti direttamente da Genova, dieci ore giuste di traversata notturna.
Una volta a bordo alla reception ci viene data una card come chiave della cabina e il numero della cabina è il 237.
Come la camera 237 dell'Overlook Hotel di Shining.
Direi di buon auspicio, se solo il traghetto avesse anche il nome di "Titanic" invece di un banalissimo "Corse", oserei quasi parlare di botta di culo.
Ci avviamo verso la famigerata cabina e già sentiamo odore di fumo, è interna ed è l'ultima, dopo di quella solo la parete della nave.
Praticamente una discesa agli inferi.
Io propendo per un cambio di cabina, risaliamo verso "il Paradiso" ma la tipa che sta alla reception ci spiega che non puo' cambiarla perché ormai ne abbiamo preso possesso.
Quindi ci sentiamo posseduti e predestinati.
Evviva.
Sul traghetto esistono anche quegli ameni posti dedicati ai bambini, tipo il gioco delle palline colorate.
Il bello consiste nel fare uscire le palline fuori dalla "gabbia" per farle rotolare fra i piedi dei passeggeri e farli ruzzolare per terra come birilli.
Evitamo la zona bambini molesti e ci dirigiamo verso quella più tranquilla del bar finto pub scozzese con pareti tartan e con degustazione di Cognac a prezzi che "con quei soldi mi facevo direttamente una crociera di quindici giorni".
Optiamo per un sacchetto di patatine e una birretta, mentre la cassiera perde le bave su Gabriel Garko che imperversa su un mega schermo facendo su e giù su una tipa in una fiction televisiva.
Torniamo verso gli inferi e quasi mi sembra di vedere le gemelle di Shining che mi guardano insistentemente, ma penso sia solo l'effetto della birretta.
I letti sono a castello e di metallo, della serie il marito che dorme al piano di sopra se solo cedesse mai il letto mi schiaccerebbe tipo macigno.
Ovvio che non riesco a dormire e tutte le volte che alzo la testa la sbatto sul letto di sopra, se muovo troppo i piedi li sbatto sulla scaletta del letto a castello, se alzo la testa e muovo i piedi contemporaneamente occorre chiamare l'estrema unzione.
Sento rumori molesti, la mia immaginazione vola e riesco a convincermi che fuori ci sia mare forza nove e che un'onda alta come un palazzo di quindici piani ci stia per travolgere.
Esco e torno " a riveder le stelle", vado sul ponte e il mare è calma piatta con tanto di luna piena.
Nessun Iceberg all'orizzonte, solo persone che dormono sul ponte nei sacchi a pelo, questo lo so, perché sono appena inciampata su uno di loro e c'è mancato poco che mi buttasse in mare.
Alla fine riesco a dormire, anche se alzandomi per fare pipì, tirando la catena ( che fa un rumore che neanche il Folletto aspiratutto quando ti fanno la dimostrazione in casa), ho il terrore che aspiri anche il mio culo con me appresso.
Il giorno dopo tutti in fila per tre con il resto di due in zona colazione dove ci è impedito di farla in piedi, mi sembra di essere in un film fantozziano in quelle vacanze lager dove ti indicano quando e cosa fare, tipo catena di montaggio, in questo caso prendere la tazzina di caffè e la brioche e portarsi tutti verso i tavolini, vietato sgarrare, pena rivedersi la fiction con Garko che ci dà che ci dà.
L'altoparlante ci comunica di predere possesso dei nostri mezzi e per le scale si gioca a"tutti contro tutti" tentando di battere il nuovo Guinness dei Primati su quante persone stiano tutte insieme su tre rampe di scale contorcendosi in varie posizioni ad incastro come nel gioco Twister.

E finalmente si sbarca, sudati, un po' ammaccati ma felici di iniziare la vacanza o di lasciare finalmente il traghetto.

Sì direi la seconda, la accendiamo.


lunedì 19 agosto 2013

vacanze 2.0

Io ammiro le persone decise ed organizzate.
Prendi le vacanze, ad esempio.
Una persona decisa sceglie una meta, la sistemazione, il periodo e prenota la sua vacanza anche molti mesi prima.
Poi non ci pensa più.
E quando si arriva a qualche giorno prima delle vacanze, segue la sua lista, prepara la valigia e parte.
Perché le persone decise ed organizzate fanno sempre delle liste.
E soprattutto le rispettano.
Rispettano la tabella di marcia, non perdono tempo a fare pipì ogni quattro chilometri e soprattutto non si portano dietro la schiscetta con il polpettone, ma temprati da un'abbondante colazione, solitamente pranzano con frutta e verdura e soprattutto stanno alla larga dai loro più acerrimi nemici: gli Autogrill.
Vietato perdere tempo.
Arrivano alla meta senza stupide deviazioni, pipì impreviste, gambe da sgranchire.
Ammirevoli.

Inutile che vi dica che io non faccio parte delle persone decise ed organizzate.
Prendi le vacanze, ad esempio.
Non decido mai nulla, o meglio, decido troppo, tante destinazioni, tante sistemazioni, tanti periodi e ovvio, non prenoto mai la mia vacanza molti mesi prima.
Perché sono una persona indecisa.
La prenotazione mi ha sempre messo ansia.
Metti che proprio qualche giorno prima di partire mi venga la febbre gialla o qualche assurda malattia tropicale, che so, la sindrome di Montezuma senza neanche aver mai messo piede in Messico, se quel pomfo sulla chiappa non sia stata colpa di una zanzara tigre ma di una mosca Tzè Tzè, o che la località prescelta sia scomparsa anche dalle carte geografiche, sparita in chissà quale buco nero.
Non si puo' mai sapere, eh!
Nel mentre, mi faccio il giro del mondo in ottanta giorni, giusto ottanta giorni prima di partire.
Mi perdo tra mari e monti, ormai TripAdvisor, Trivago e Zoomer per me non hanno segreti.
Faccio coast to coast con Google satellite, mi lancio su Google Street View accompagnando il mio omino itteroso per le vie di paesi e città, e ogni volta sento l'impulso irrefrenabile di cliccare su un Campeggio, un Hotel, un Agriturismo che incontro sulla mia "strada", scannerizzo il sito, confronto i prezzi, guardo le foto, i video sul tubo, zoommo ingrandendo, rimpicciolendo, mi stendo su una spiaggia figa e mi scotto tutta, infatti rimpiango di non essermi messa la protezione cinquanta, esco di casa e vado a comprami il gel lenitivo all'aloe.
Il tutto virtualmente.
E mi rimbecillisco.
Una vacanza 2.0.
Intorno al sessantesimo giorno sono già stanca, esausta, esaurita, ma felice di aver visto già così tante cose.
Una vera viaggiatrice.
Alla fine o si resta a casa così com'è successo l'anno scorso, o si ripiega per il solito campeggio, nella solita località, nello stesso periodo, che a noi insicuri viaggiatori mette tanta sicurezza.
Si parte dopo aver cercato di mettere tutto l'armadio nella valigia e si mugugna (sì, noi genovesi mugugnamo) perché non entra, ma ci rassicura il fatto che sarà sempre meglio che al ritorno, quando dovremo comprare una seconda valigia per farci entrare tutto.
Si prepara la schiscetta con l'insalata di riso e il thermos con il caffé bollente, nonostante fuori ci siano quaranta gradi all'ombra.
La pipì va messa in preventivo.
Su quella è stata fatta una lista.
Sì, una lista con tutti i bagni degli Autogrill sul percorso e anche fuori dal percorso, che non si sa mai, si marca già il territorio insomma, come i cani quando fanno la pipì, che di pipì si tratta, solitamente ad ogni Autogrill, con un rotolo di carta igienica in borsa, che è ormai il set dato in dotazione all'Anonima pipì dipendenti.
Si perde una buona mezz'ora di struscio tra l'immancabile prosciutto al pepe toscano, le riviste pornazze, i Cd di Castellina Pasi e l'Orchestra Bagutti, le caramelle gommose della Haribo e i biscotti della Bahlsen.
Che un viaggio senza vasche in Autogrill non è un vero viaggio.
E ci si sente già in vacanza.
Vuoi mettere l'emozione di vedere i tubi " tu tu tubiamo" dei baci con il pupazzetto avvinghiato al tubo un po' scolorito con l'aria di aver già visto troppi San valentini?
Ci si fa anche un Fattoria come da tradizione familiare, un Camogli, e sul Rustichella scappa la lacrimuccia.
Se si va di self service, si prende lo speciale menu del giorno, giusto per avere l'immancabile piatto del buon ricordo che non se ne puo' proprio fare a meno, con sopra la ricetta della ribollita o del riso e bisi da appendere in bella mostra in cucina.
In caso di schiscetta si gozzoviglia nei tavoli appositi con ombrellone stile Farè nell'area pic-nic e qua ci scappa anche una pennichella.

Il viaggio va dall'alba al tramonto, il tutto per percorrere trecento chilometri e qualcosa.

Poi finalmente si arriva e non si vede l'ora di ripartire.
Perché noi indecisi viaggiatori non sappiamo se ci stiamo rilassando, divertendo, annoiando, c'è sempre questa voglia di tornare a casa che si placa giusto un giorno prima del rientro.
Ecco a quel punto, non ripartiremmo più.
Quattordici giorni di adattamento in loco nel quale si resta come sospesi, più uno di estremo godimento da vacanza.
Ed infine ci si commuove, che già ci prende la saudade all'idea di ritornare a casa, e soprattutto di rivedere lui, il tanto amato Autogrill, quel perfetto non-luogo che diventa luogo a tutti gli effetti grazie a noi:
meravigliosi, imperfetti, indecisi, caotici viaggiatori.

lunedì 12 agosto 2013

Io e la mia ossessione.

Su Real Time.
E' quel programma inquietante che uno guarda giusto perché, se avesse mai avuto qualche piccola ossessione o dipendenza, improvvisamente si sentirebbe sollevato, e le proprie manie passerebbero in secondo piano.
Direi che è terapeutico.
Si tira proprio un respiro di sollievo e si spendono i soldi messi da parte per lo psicanalista, magari per una bella crociera.

C'è la tipa che manda giù benzina come se fosse un Mojito e quella che sniffa un'orrida testa di bambola mozzata gommosa che si porta appresso in ogni dove continuandola a sniffare (io che ho sempre ed unicamente sniffato la Coccoina, la mitica colla al profumo di mandorla, improvvisamente mi sento nella norma).
C'è il tipo che vuole sposare uno dei suoi mega gonfiabili da a-mare, non so se un cerbiatto, una giraffa o un dinosauro arancione, visto che la puntata non è ancora andata in onda.

Ricordo nella serie passata, un ragazzo che viveva come se fosse un bebè di pochi mesi, e il fatto che non fosse propriamente magro non lo aiutava, in quanto aveva fatto costruire un lettino/lettone con le sponde che dentro ci sarebbe potuta stare tutta una squadra di pallone, tutto il cucuzzaro e anche tre quarti della palazzina tua. Pagliaccetto taglia sessantaquattro su misura e una tipa a pagamento per coccolarlo come se fosse stata la sua mamma.
Su quella che ingurgitava carta igienica, mi son sempre posta il dubbio, visto quanta ne consumiamo a casa nostra, che qualcuno non avesse per caso quell'ossessione e me lo stesse nascondendo.
Glisserò su questa cosa, meglio non approfondire.
Stasera c'era una tipa che si faceva di caffeina. Ma non bevendo caffè da una tazzina o tazzona mandandolo giù direttamente dalla bocca, come ogni persona sana di mente farebbe, no, il caffè le andava su dritto per il culo grazie ad un tubo che lo prelevava direttamente da una pentola.
Un bel clisterone lei e suo marito, a turno, proprio lì dove non batte il sole.
- Più lo mandi giù, più ti tira su - diceva una famosa pubblicità di una nota marca di caffè.
In questo caso: - più lo mandi su e più ti tira giù - ti tira giù i pochi neuroni che ti sono rimasti nel cervello.
La tipa che si fa vampirizzare dalle api facendosi pungere per cento volte la settimana quasi passa in secondo piano, mentre per quella che lecca il gatto tutto il santo giorno come se fosse un chupa chups e poi non contenta, mangia anche il pelo (spero almeno che sia quello che resta nella spazzola dopo averlo spazzolato), chiamerei direttamente la protezione animali, o farei a lei il clisterone, ma con un beccuccio grande quando un evidenziatore UniPosca.
Ma povero micio.

Ok, a questo punto faccio "outlet" direbbe Checco Zalone.
Anche io ho una mia ossessione, la voglia irrefrenabile di prendere un bel punteruolo rompighiaccio (e qua si sveglia la Sharon Stone che è in me senza neanche il bisogno di accavallare le gambe) ed iniziare ad impalare stile ammazzavampiri, tutti quei cazzo di animali gonfiabili al tipo che se li vuole sposare.  
Così si ritrova direttamente divorziato, anzi, vedovo del dinosauro arancione.
Che son cose.

Sò cattiva inside, lo so.

martedì 6 agosto 2013

Principesse 2.0

Charlotte Casiraghi è a Capri.
In compagnia di colui che ha scelto lei invece di me ( e lo capisco perfettamente eh), cioè Gad Elmaleh, attore francese che io adoro dopo aver visto un film con lui e Sophie Marceau, combinazione un'altra divina.

Lui era perfetto per me, peccato, che lei sia perfetta per lui.

E infatti è perfetta in tutti i sensi.

E ieri ho visto lei, la Charlotte, in un servizio alla tv.

E' sbarcata da un tender che portava lo stesso nome dello Yacht che li ospita, "Mia Elisa", lungo 50 metri, nido d'amore in un anticipo di luna di miele, e ha fatto lo struscio in piazzetta a Capri.
Vestitino sopra il ginocchio con righe oblique nero e beige, infradito di Hèrmes e broncio d'ordinanza.
Si aggirava con aria annoiata, broncio addicted con quelle labbra piene e perfette, guardando le vetrine dei negozi, con quello sguardo snob che le viene naturale - non mi interessa nulla e anche se fosse ho già tutto, tzè - No, dai, tzè lo dicono solo i paperi su Topolino.
Occhiali da sole a fermare i capelli lucenti, come se fosse un cerchietto.
Lui forse meno perfetto, ma che ci vuoi fare, forse l'aura di lei lo illuminava tutto e sembrava perfetto anche lui nella sua mise polo azzurra e pantalone blu notte.

Gabriella Seconda quando è in vacanza, sbarca con l'Amor suo dalla loro canoa gonfiabile lunga due metri della Decathlon, tender di una cellula ex cella frigorifera, montata e trasformata in cellula abitativa su un camion ( che è poi quello da lavoro dell'amore suo, che qua si ricicla tutto), l'ormai famoso "camperino de noantri".
Bragoni stile yoga con i tasconi, maglietta col numero 53 davanti ( nel caso si perdesse, così all'altoparlante non sbagliano), Birkenstock a sandalo e smorfia d'ordinanza.
Per il caldo.
Solitamente si aggira con aria stufata, stufata in tutti i sensi, perché suda come un mantice e soffre l'umidità che neanche un rubinetto che cola, guardando le vetrine dei negozi con quello sguardo - che cazzo di prezzi hanno questi, io i miei soldi non te li dò anche perché non ne ho, minchia qua ci prendono tutti per il culo, per fortuna che c'è santa H&M -
Capelli raccolti con la pinza mollettone che fa apparire il tutto come un ridente mappazzone - mocio in testa.
L'Amor suo forse sta messo meglio di lei, non grazie alla sua aura sudaticcia, nonostante il marsupio che regna imperante e il sandalo con calzino appresso "che poi mi sudano i piedi e non va bene, io ho rispetto per gli altri".
Nonostante il calzino con il sandalo appresso.
Mi sono accorta oggi, proprio a sinistra del labbro direttamente sulla mia smorfia d'ordinanza, di avere un accenno di fioritura di Herpes, che non è neanche Primavera.
Dev'essere stress da invidia.
Che dopo quel che ho scritto diventerà tutta un florilegio.
L'invidia è una brutta bestia, sempre detto io.

Che poi lei Hèrmes e io Hèrpes.
Questa la trovo una vera ingiustizia.

venerdì 2 agosto 2013

O famo strano

Che per essere veramente appagati, per combattere la noia, per provare emozioni nuove, per stare sempre ai due poli estremi che guai a stare in mezzo che risulterebbe troppo banale, bisogna farlo strano.
O famo strano.
Che cosa? Ma l'ammore, naturalmente.
Jessica e Ivano (Viaggi di nozze) insegnano.
Che poi noi siamo persone "normali", meravigliose persone per carità, ma abbastanza lontane dai modelli e dalle modelle che fanno dei "posati" per riviste famose e appaiono così smaglianti e perfetti in quelle pose finto sadomaso, con le tutine di latex, il collare borchiato da mastino napoletano, il tacco da dominatrice e fruste in mano, fotomodelle somiglianti a quella del famoso silicone sigillante.
No, di solito chi lo fa "strano" è proprio la persona della porta accanto, quella che non lo diresti mai, il commercialista con un bel po' di pancetta con la moglie buzzicona, la sciura con il birignao e l'attempato ragioniere che si tinge i capelli con la scatola fai da te.
Lui che si traveste da uomo ragno e tenta con un doppio carpiato il famoso bacio a testa in giù rischiando l'osso del collo, mentre la moglie che si sentiva tanto la Kirstin Dunst della situazione non sa a quel punto se scappare via o ridergli in faccia.
Che cinquanta sfumature di grigio l'anno scorso ha fatto dei danni.
Quella piacevole lettura da ombrellone in riva al mare, la sera diventava - sottomettimi, frustami, puniscimi, fammi male, stando attento però alla schiena che oggi me la sono ustionata -

-Ti ho fatto male tesò? Ti ho legato troppo forte con i miei calzini con le righe blu e rosse? -

- No amò, sto strillando perchè mi sono scottata oggi al mare, mi spalmi il doposole? -

Sottomesse che implorano una lozione all'aloe vera e probabilmente non hanno usato la protezione cinquanta, come le sfumature di grigio.
E dominatori con il calzino tennis e Birkenstock appresso, che non c'è punizione peggiore.

Ieri alla Posta l'ho scorso proprio sul bancone, lui, il libro di cui sopra in bella mostra, anzi, c'era tutta la trilogia delle sfumature, in mezzo ai libri di cucina della Benedetta e a un libro gonfiabile per bambini, di quelli che galleggiano nell'acqua. In mezzo alla gente in coda, che fa caldo e se lo dice anche Studio Aperto vuol dire che è vero, qualcuno accennava un timido tentativo a sfogliare quei libri, ma poi si guardava intorno e ritraeva la mano che neanche Superman con la Kriptonite.
Che farlo in doccia è banale e sa troppo di Psycho, sul tavolo ha già dato il postino, quello che suona sempre due volte, mettersi le mascherine alla Eyes Wide Shut neanche a parlarne, che poi si rischia di assomigliare troppo ad Arlecchino e Colombina, meglio giocare in territorio neutro in mezzo a tante altre persone, come quello del Supermercato, ad esempio.
Magari nel reparto surgelati che fa caldo e aiuta.
Tra i bastoncini di pesce e il merluzzo congelato si decidono i ruoli: lei fa la cassiera e lui il taccheggiatore.
Lui ruba una confezione di cuori di panna e lei la rimette a posto, lui corre verso i sottaceti e le ruba furtivamente un bacio giusto all'altezza della giardiniera, lei fa la ritrosa appoggiandosi ai pizzoccheri, e fa - ah - mugolando, non si sa se per lui o per i pizzoccheri, poi lui ruba una robiola e se la mette sotto la maglietta, lei lo rincorre saltellando tra una caciotta e un pecorino sardo, gli alza la maglietta e lui fa - oh - preso da sto impero dei sensi, che diventa presto un - ahia! - con voce da gola profonda,  perché il gioco viene bruscamente interrotto da un colpo sugli stinchi di lui, preso in pieno da una di quelle macchinine-carrello da formula uno guidata da un bambino molesto.
E si rovina tutta sta poesia erotica del farlo strano al supermercato, che da erotico diventa anche eroico, vista la botta presa.

Negli stinchi, ovvio.

- Ma poi a casa o famo strano, vero amò? - dice lei guardandolo languidamente.

- Sì tesò, o famo strano, stranissimo, straniero - risponde lui sospirando con ancora la robiola in mano.


mercoledì 31 luglio 2013

facciamo finta che.....

Vi dirò una cosa, quello strano fenomeno che si chiama Cosplay, ovvero "termine della lingua giapponese che indica la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile in un determinato ambito e interpretarne il modo di agire"( fonte wikipedia), in realtà, l'ho inventato io.
Ricordo che ero bimbetta quando io e una mia amica ci vestimmo da Candy Candy, che fantasia poi, neanche una della due che facesse che so, Annie, Terence o il procione, e ci cucimmo i vestiti aiutate da mamme e nonne, quasi uguali, neanche uno nella versione Candy infermierina, e cosplayate così andammo ospiti di una tv regionale che adesso non esiste più a parlare del cartone animato (io l'ho sempre detto che sono una finta timida).
Il dubbio che quella rete televisiva fallì per colpa nostra agghindate da Candy Candy, resterà per sempre.
E non era neanche carnevale.
Ma io il cosplay l'ho sempre applicato per qualsiasi cosa mi "attraesse" in tv.
Esempio negli sport, per seguire il tennis mi armavo di racchetta e gonnellino, il tutto dal divano di casa mia, ovvio, che io son sempre stata bravissima negli sport "da divano".
Per un certo periodo sono stata anche Nikka Costa, bambina canterina che andava per la maggiore ai miei tempi, ancora prima di trasmissioni come Io canto e gli inquietanti bambini della Clerici.
Mi mettevo le cuffie seguendo il testo di On my own, giusto per non dare fastidio a nessuno, e cantavo a squarciagola immedesimandomi nel personaggio, incurante del fatto che sì, il disco lo sentivo solo io, ma la mia voce la sentivano tutti, soprattutto i vicini.
Per i telefilm mi facevo le trecce come Laura della casa nella prateria, gonnellone folk e lentiggini disegnate con la matita marrone in tutto il viso.
Ricordo anche che per il cartone animato Ryu ragazzo delle caverne, io e la mia combriccola ci costruimmo un bastone con la punta e andavamo in giro per tutto il quartiere a caccia di Dinosauri,e inutile dire, visto che il mio quartiere non era Jurassick Park, neanche l'ombra di un Velociraptor.
Andammo anche al cinema a vedere Madonna in cercasi Susan disperatamente, reggiseno a vista, wayfarer neri o marrone scuro, capelli mossi con fiocchetti di pizzo vari, croci al collo, canottiera e pancino, ancora quando lo si poteva chiamare "ino" con l'ombelico di fuori, fuseaux che si chiamavano ancora così (son del geriatrico io) e minigonna sopra.
Ricordo ancora certe litigate, su chi doveva essere chi, che tutti volevano sempre essere lo stesso personaggio, un po' come quando si giocava a calcio e tutti volevano essere attaccanti e nessuno mai il portiere, che in porta si sa, si metteva sempre quello un po' sfigato, sempre lì fermo ad aspettare una palla, che quando e se arrivava, finiva sempre dentro.
Diciamo che adesso le cose sono un po' cambiate e giuro che se volessi anche essere il dottor House, non costringerò mai nessuno a farmi da paziente, e non metterò mai la striscia gialla "scene crime do not cross" alla CSI, ma giusto perché il telefilm non mi è mai piaciuto.

Però lo confesso, le trecce come Laura, ogni tanto, me le faccio ancora e gli stivali texani come Lori Singer/Ariel Moore in Footloose, li conservo ancora.

sabato 27 luglio 2013

specchio, specchio delle mie brame...

Che io ho l'autostima a giorni alterni, come le targhe alterne delle automobili.

Che capita che in giorni pari mi alzo, mi guardo allo specchio e vedendo le mie occhiaie peste più del solito, chiamo urlando l'amor mio e gli chiedo - ma che sarà mai? Non vedi che occhi neri e pesti, che sono un bel po' ipocondriaca, adesso vado a googolare su WikiSantoSubito che cosa potrebbe mai essere - che l'amor mio è molto molto paziente e mi tranquillizza perchè ormai mi conosce bene, e nel mentre tento disperatamente di domare il cespuglio d'alghe che ho per capelli e metto un fermacoda a contenere il tutto che Carrie Bradshaw di Sex & the City storcerebbe il naso ( ne ha parlato lungamente in una puntata dell'orrido fermacoda) poi tiro giù tutto l'armadio e lo butto sul letto, per poi uscire vestita con la mia prima scelta. Ma non è che sono sicura più di tanto.

Che capita che in giorni dispari mi alzo, mi guardo allo specchio e vedendo le mie occhiaie mi sento quasi gnocca come la stupenda portatrice sana di occhiaie Carolina Crescentini. Che mi danno quel non so che, infatti non lo so spiegare, ma fanno tanto diva d'altri tempi. Che ho la voce roca e più sensuale del solito, molto Marlene Dietrich, e toh, metto la prima cosa che capita e sembro una it girl, una Sienna Miller de noantri, con lo spillone woodoo infilato nel cespuglio comprato all'Isola d'Elba che in realtà sarebbe una di quelle matite etniche per fermare uno chignon, puntato proprio sopra la testa, sicura di me stessa.

Sono bipolare mica per ridere.

Che alla fine, c'è chi vede il bicchiere mezzo vuoto e chi quello mezzo pieno, io li vedo sempre tutti e due, a giorni alterni, pari e dispari come le targhe alterne delle automobili.

L'unica soluzione è bersela quella minchia di acqua che c'è nel bicchere, sperando che almeno non sia acqua, che sia deliziosamente frizzante, preferibilmente rosè e che abbia tante tante tante bollicine.

mercoledì 24 luglio 2013

royal baby 2.0

Che a me viene un po' da ridere.

Che è nato il royal baby ed è partito il circo mediatico.
No, non quello che girava già attorno da settimane ad futuro real pargolo, fatto di inquadrature direttamente sulla porta della clinica, dei giornalisti, dei pic nic improvvisati tra una telecamera e l'altra, ma quello di facebook, di twitter, dei social network.
Non capisco tutto questo accanimento per quello che è un lieto evento.
E partono i link copinculoni, che si sa molto spesso, il popolo del web è anche dotato di poca fantasia.
E quindi che si fa?
Si condivide il pensiero di altri.
Magari anche scontato e volgarotto, che non è neanche satira ma diventa battutaccia becera e pecoreccia, che la satira quando è fatta bene e da menti pensanti, diventa anche sublime e tocca livelli altissimi di ironia.
Invece per quello che è un evento meraviglioso, si toccano livelli di bassezza infinita e di una banalità assoluta.
Forse si è anche persa la capacità e la voglia di sognare.
Il matrimonio di lady D ha fatto sognare tantissime persone, c'era tutto il mondo incollato alla tv.
E non c'era fb, non c'erano i social network, forse non c'era neanche tutto questo cinismo che grazie a questo mezzo, si fa forte del fatto che sia così semplice condividere un link copinculone, senza idee personali, dove la prima minchiata diventa virale peggio del pulcino pio.
E si condivide quello che non ci piace e del quale non volevamo parlare e così facendo ne parliamo eccome, diventa il serpente che si morde la coda, il circo mediatico tanto odiato nel quale si diventa protagonisti comunque, perchè si sa, l'importante è esserci, se non ci sei non esisti.
Ma ben vengano queste notizie, sempre meglio delle orgettine, delle ruby, delle veline da gossip dell'ultima spiaggia, dei plastici di vespa, delle smorfie della Barbarella, di uomini e nonne della de flilippa.

Benvenuto al Royal baby, inconsapevole protagonista e figlio di un mondo 2.0.

Che alla fine, solo una cosa aveva messo d'accordo tutti, accomunando "le grandi menti pensanti del web", quel pensiero elevato ed urlato a gran voce, condiviso, ed è proprio il caso di dire, copinculato alla grande: il  meraviglioso culo della Pippa.
Che non è l'orrido cartone animato Peppa Pig, ma la sorella di Kate.

Che a me viene un po' da ridere, ma neanche poi tanto.

martedì 23 luglio 2013

scostumata

Io vorrei capire che cosa hanno da lamentarsi quelle che avranno anche un chiletto in più, ma una minchia di costume lo trovano comunque.
Non parliamo poi di quelle alle quali sta bene tutto, ma si lamentano in continuazione.
Che oggi sono diventata scema a cercare una parvenza di costume dove riuscire a fare entrare, non tanto il culo che se spingi e tiri alla fine entra, ma le mie tette.
Santa Upim e Santa Oviesse a sto giro non mi hanno assistito, allora ci siamo fatti un viaggio io e l'amor mio, fino alla Decathlon.
Ecco, anche lì, visto che quei due pezzi personalizzabili stanno bene solo alla tipa (e a chi ha la fortuna di avere le tette come Dita Von Teese) che nella pubblicità non cambia mai il costume (sta zozzona) ma solo i laccetti, mi è toccato provare non dei costumi, ma degli scafandri.
In quei simpatici spogliatoi fatiscenti stile cabina improvvisata che si faceva al mare mettendo più asciugamani intorno all'ombrellone, solo che alla Decathlon sono chiusi con un mega occhielli e qualche alamaro, come quello dei Montgomery.
L'ultima volta si solo slacciati (della serie cose che capitano solo a me) e sono restata quasi nuda alla mercè di tutti.
Sicché questa volta, l'amor mio faceva il palo, mentre io cercavo disperatamente di indossare qualche costume intero, che poi riesci ad entrarci dentro ma non è detto che riesci ad uscirne.
Un po' come succedeva da piccoli (della serie cose che capitano solo a me - la vendetta), quando infilavi la testa tra due pali (nello specifico il palo di un cartello con divieto di sosta giusto nel piazzale della Chiesa vicino casa mia) ed entrava che era un piacere, ma poi non riuscivi più a farla uscire.
La riflessione era sempre la medesima: così come era entrata doveva comunque uscire.

Quindi la stessa cosa vale per il culo.

Armarsi di santa pazienza e riuscire a far fare cucù al tutto, cercando di non muoversi stile elefante in una cristalleria e tenendo sempre l'occhio verso gli alamari del cabinato spogliatoio, che si sa, l'amor mio ad un certo punto si fa sempre i cazzi suoi per sfinimento.

Comunque il costume l'ho comprato, è di tessuto goffrato color Lavanda (costume intero donna Kaipearl, se volete "rifarvi gli occhi" googolatevelo) , giusto perchè nero della mia taglia non c'era.
La descrizione diceva che univa eleganza e comfort contenendo il tutto.

Io dentro a quel coso mi sento tanto un fiorellino di lavanda provenzale.

Nel senso di tutto un campo intero di lavanda, ovvio.



domenica 21 luglio 2013

Felicità 2.0

Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelle che ti passano nelle foto felici di facebook, con la bocca piena di cibo e risate, in quelle foto che arrivano "tutteinsieme", una moltitudine di foto con gli occhi a fessura per il gran ridere, con le pacche sulle spalle, con le smorfie e le lingue fuori da "dica 33 mi faccia una diagnosi dottore", con gli abbracci in cordata da tiro alla fune, con l'aragosta moribonda nel piatto e le luci dimenticate da capodanno, con il vestito buono da sagra della polenta concia, della Messa la Domenica, con tutto il mappamondo da luoghi felici per foto felici.
Felici davvero.
Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelle felici davvero, che si baciano come se non avessero più un futuro, che lui ci mette anche un pezzetto di lingua a tradimento e lei finge di essere sorpresa e si mette la mano sulla bocca con finto imbarazzo, che fanno le foto da tutti i cessi che incontrano sulla loro strada, che uniscono pollici e indici a formare un cuore e poi lo fanno anche sulla sabbia che poi si incazzano perché si devono rifare tutta la nail art, con le bocche a culo di gallina, la messa impiega da parrucchiere appena fatta che quasi l'odore della lacca lo riesci a sentire anche tu.
Mi faccio domande felici sul prima. Sul prima di fare la foto felice.
Se lei gli ha detto stronzo, se lui l'ha mandata a cagare, se qualcuno li ha messi tutti in posa tipo maestro gran cerimoniere, se hanno fatto le bizze come i bambini che non si vogliono mai fare fotografare, che tu cerchi di aggiustarli come si fa con le bambole di pezza e ti prendi i calci negli stinchi, e qualcuno magari ha detto "cheese" e tutti l'hanno ripetuto come automi e magari qualcuno ha anche detto "meerde" che magari tutti han fatto un risolino perché la cosa era sembrata buffissima e faceva così tanto ridere, che magari lei aveva il ciclo ed era incazzata e lui sapeva benissimo che lei gli metteva le corna con quello a sinistra nella foto quindi era incazzato anche lui, che magari l'altra ancora non aveva voglia di uscire perchè gli stavano tutti sul cazzo, gli stavano sul cazzo tutti quelli felici.
Quelli felici davvero.
Quelli che se gli osservi gli occhi vedi che guardano tutti per i cazzi loro, quelli felici con le foto modificate con rose, angeli, unicorni, lune e fiori accanto che non sono manco morti e forse per questo sono felici.
Felici davvero.
Che lei ha in braccio il cagnolino con il tutù fucsia e il cappellino rosa glitterato ed è vestita in pendant con il cagnolino dal musetto umiliato, che c'è una pila di libri felici immensa, che magari nessuno ha mai letto ma fa felice dire guarda quanto leggo, e son tutti libri felici, felici come me, che mangio fuori casa al ristorante più cool cinque giorni su sette, che ho il fidanzato perfetto e strafigo con le sopracciglia ad ali di gabbiano e che usa tutte le mie creme, che ho la Louis Vuitton, la Celine e la Falabella che non è l'amica zoccola ma una borsa figa che costa un botto, che guardo film del Sundance, che io lo so che non è un solare da mettere in spiaggia quando ballo attorno al chiringuito con il mio cocktail pink fluo in mano, ma un festival di cinema indipendente che me l'ha detto Santo wikipedia, felice come me che "vedogentefacciocose", che metto foto felici su facebook così i miei amici rosicano tutti e diventano verdi dall'invidia sti sfigati, che se non metti foto felici tu non esisti e non sei nessuno e quindi faccio foto felici da mulino bianco e così me ne convinco anche io e me lo ricordo, insomma, sì, di essere felice.
Felice davvero.

Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelli delle foto felici di facebook, quelli felici davvero.

Ma davvero davvero.

sabato 20 luglio 2013

rosa/rosae

Avete presente quelle trasmissioni che imperversano alla televisione, tipo "cuochi e fiamme" con mister "gnocco" Rugiati, dove tra i giurati per decidere il piatto vincente dei concorrenti c'è anche un critico gastronomico?
Ecco, mi ha fatto sempre impazzire la descrizione del piatto assaggiato, al pari di certi sommelier quando decantano il vino e ci "vedono" dentro di tutto di più. Della serie, nel caso culinario, l'esposizione della delicatezza della mozzarella dal sentore di latte di malga appena munto (che neanche Heidi, il nonno e tutte le caprette) che si commuove sciogliendosi in bocca e la poesia con retrogusto acidulo di una verdeggiante ruchetta croccante che eccita le papille gustative, spero solo quelle, senò abbiamo trovato il nuovo Viagra.

Ma dai cazzo, direbbero i soliti idioti, non si puo'.

Per me una mozzarella è una mozzarella e in sto caso, sopra una minchia di rucola.
Penso che la rucola se la siano fumata, visto gli effetti che fa.

Comunque io sono la stessa cosa per i colori, per me il rosa è rosa, non ci piove, non lo potrai mai spacciare per rosa con punte di arancio e devianze di corallo. E così per tutti gli altri colori.

Che oggi ero da Carpisa e una commessa ha ulutato su di me facendo stalking al mio smalto, della serie fermi tutti blocchiamo il traffico saldesco tra un bauletto e una shopper, tra una borsa mare e un orrido porta cellulare in silicone riciclato (che sia stato un bel paio di tette un tempo che fu?), tra una ragazza e una signora che si stavano strappando extension e capelli per una bowling bag con un teschio sopra, e mi ha chiesto di che colore fosse il mio smalto.

- rosa - ho risposto io.

Mi è parsa scandalizzata dalla mia risposta stringata ed essenziale e mi ha detto:

- ma no signora, non è rosa, mi sembra un Dior ultima collezione o uno Chanel fucsia vitaminico vibrante con bagliori glitterati rosso amaranto -

Questa si è fumata anche lei la rucola, ho pensato io e le ho risposto:

- 1,99 da Acqua e Sapone ed è rosa, rosa culo di bebè -

 E' evidente che il mio pregio migliore non sia il savoir-faire, infatti la commessa si è volatilizzata davanti ai miei occhi ed è sparita penso dentro ad uno spazio temporale che non contempli la sottoscritta.

Ho un futuro da fashion blogger, lo so.

giovedì 18 luglio 2013

che poi vorrei sapere

Che poi vorrei sapere dove sono tutti quelli che ti amano per tutti i tuoi difetti.

Che nei film da commedia rosa americana lei è così buffa con quel nasotto a patata che lui proprio non puo' fare a meno di darle un buffetto giusto sul naso, e lei parla tanto, troppo e a sproposito, è logorroica all'ennesima potenza ma lui ama proprio quello del suo carattere e pende dalle sue labbra e la ascolta attentamente anche se magari parla di cose futili, frivole ed assolutamente inutili.
E veste in modo così originale, così fuori dagli schemi, con colori da emicrania potente visti così tutti insieme.
Che il naso a patata ce l'ho anche io, e che se mi vestissi così mi direbbero di andare direttamente al Circo.
E sono logorroica e parlo troppo, spesso e a sproposito e anche l'amor mio mi ama per tutti i miei difetti, che ieri sera ho aspettato che lui la notasse la tovaglia nuova, che era impossibile non notarla così blu elettrico e con tutti i pois bianchi, e allora gli ho chiesto forzandolo un po' mentre stava mangiando e guardando la tv:

- ti piace la tovaglia nuova? -

- buona - ha risposto lui.

Che poi vorrei sapere dove sono tutti quelli che ti amano per tutti i tuoi difetti.

mercoledì 17 luglio 2013

perchè io valgo (e non sto parlando dell'alluce)

La verità è che se una persona ti manca, tu glielo dici e glielo fai sapere.

Inizio a crederci poco ai silenzi pieni di tutto, all'universo che risponde, ai messaggi in bottiglia che prima o poi arriveranno magari sotto forma di numeretto rosso versione pvt via facebook, mi sanno di favoletta di Babbo Natale, qualcosa di sentito o che ci hanno raccontato, robe da folklore locale, da sagra dello spaghetto all'amatriciana, tipo leggenda metropolitana; ma in parole povere: una presa per il culo.
La verità è che certe cose misteriosissime da "ecco che ha capito tutto anche se non ho proferito parola", accadono solo nei film, quelli belli belli da commedia rosa ammerecana, solitamente con Meg Ryan e Julia Roberts.
E non penso che dire ad una persona che ci manca sia da coraggiosi, penso che sia da vigliacchi non farlo, che è diverso.
Se una persona ci manca dovrebbe saperlo, che ne sai, magari gli si illumina la giornata. Non vorremmo mica che stia al buio per colpa nostra, al massimo solo perchè si è dimenticato di pagare una bolletta.
Quindi consiglio di alzare il culo o il mouse, visto che siamo nell'era dei social network e farglielo sapere.
Che nessuno qua ha doti paranormali, la palla di cristallo o il pigiamino di Superman, al massimo quello dell'uomo torcia se il pigiamino è in acrilico e tutte le volte che ci giriamo nel letto facciamo scintille.

La verità è che se una persona ti manca, tu glielo dici e glielo fai sapere.

martedì 16 luglio 2013

I cinque miti nascondi ciccia da sfatare

Il mappazzone in vita.

Il mappazzone è comunemente chiamato felpa, felpina, felpetta, volendo anche una giacchetta, che viene messo astutamente in vita per coprire quello che fa provincia: il culo.
Se trattasi di giacchetta, la medesima non deve essere troppo spessa senò si rischia l'effetto Lara Croft con zainetto incorporato, ma messo direttamente sul culo.
Inutile dire che tutto questo fa effetto mappazzone ed ingrandirà ancora di più il vostro culo facendolo sembrare il doppio, con la giacchetta, il triplo.

Cinquanta sfumature di nero.

Il nero ad oltranza, perchè si sa sfina e non importa che fuori ci siano 38 gradi all'ombra, pur di sembrare più snelle si va incontro al solleone con il sorriso. Effetti collaterali svenimenti vari, qualcuno potrebbe scambiarci per la lavagna di scuola e buttarci addosso un cancellino, effetto vedova in agguato.
Concessioni: il blu e forse dico forse il bluette, ma proprio se siamo in giornata sì.
In realtà il nero è triste, fa uccello del malaugurio e non siamo Audrey in Colazione da Tiffany.

La maglia XXXL
La maglia extralarge sta bene solo se sei un campione di Basket alto due metri, ma non è il nostro caso visto che non giochiamo nell'NBA, solitamente fa solo donna incinta e se siete stufe di sentirvi chiedere "se aspettate" e non siete alla fermata dell'autobus, lasciate perdere.
Se avete la mia età, sui quaranta e dintorni, rimpiangerete presto quella fatidica domanda, ma questa è un'altra storia.

La borsa a tracolla

La borsa a bisaccia o postina che dir si voglia, copre il fianco abbondante, il fianco, appunto, uno non due, quindi a meno che non abbiate due fondine da pistoleros per borsa, non serve a nulla, a meno che non vi piaccia, in quel caso ben venga.

Il granfolulard copridivano

Ovvero il megapareo in spiaggia. Coprirsi come un'odalisca per fare la danza dei sette veli in spiaggia non va bene, tanto il pareo che coprirebbe un divano a tre sedute vi scivola di là, slitta di giù, sgomma a lato e non si puo' passare tutta la giornata a metterlo a posto. Tanto vale mettersi uno scafandro e fare il palombaro.
E poi, come si allaccia, mette, si tiene su un pareo resterà uno di quei grandi misteri da girare a Giacobbo a Voyager.

Inutile dire che ognuno alla fine fa quello che vuole, alla fine nessuno ci potrà mai dire come ci dobbiamo vestire o cosa ci sta meglio, perchè è un classico, solo noi sappiamo cosa indossare per sentirci a nostro agio e che ci fa sentire bene, fosse anche quel pantalone con quei disegnini cashmire anni 80 ( adesso fa figo dire "paisley") che non donerebbero neanche a Kate Moss.

lunedì 15 luglio 2013

Sala d'attesa: dal medico

Ieri sono andata dal Medico di base.

Avete mai notato cosa fanno e come si comportano le persone nella sala d'attesa, mentre aspettano il loro turno?

Analizziamo la fauna che solitamente pullula la sala d'attesa.

Quelli con l'ansia da numerino.
Innanzitutto a prenderlo sto numerino. Dal mio medico, che è uno studio associato, ci sono più medici e occorre prendere il numerino, per evitare code e litigi vari. Già per prendere il numero, diventano rossi in faccia e guardano con occhi imploranti qualcuno che gli dica che razzo di numero devono prendere. Una volta conquistato il suddetto, se lo rigirano in mano guardandolo ogni secondo, finchè quando arriva quasi il loro turno, non capiscono più che numero hanno, perchè il numerino è sudato, tutto tritato e non più leggibile.

Le cleptomani della rivista.
La signora che si guarda in giro come se stesse per svaligiare una banca, che appena pensa di non essere vista, con scatto di mano strappa la pagina di una rivista che proprio non se ne puo' fare a meno, e forsennatamente se la mette in borsa. E c'è quella di non mi faccio i cazzi miei, che la guarda con fare riprovevole scuotendo la testa come a dire: ma che figura di mer...coledì.

I maratoneti
Iniziano a scalpitare ed allenare i piedi già da seduti, un po' di stretching per iniziare, tamburellano i piedi e cambiano posizione più volte. Poi con scatto da centometristi si alzano in piedi e iniziano ad andare avanti e indietro nel corridoio, più e più volte, guardando sempre l'ora, ogni tre secondi, scalpitando.

Quelli del pic nic fuori porta.
Iniziano a tirare fuori i viveri, sapendo che sarà una lunga attesa. Merendine, patatine, pizzette, panini imbottiti, bibite, sbriciolando ovunque, lasciando tracce oleose di focaccia (nella versione genovese) sulla maniglia delle porte, guardandoti come a dire: hai visto quanto avanti sono, e tu che non ti sei portata nulla, ciccia!

Gli intercettatori .
Si piazzano nella sedia più vicina alla porta del medico e assumono una posizione allungata stile giraffa cercando di carpire tutto cio' che succede all'interno della sala medica, cambiando espressione a seconda di quello che pensano di capire, che solitamente è sempre sbagliato.

Gli untori.
Appena arrivano te ne accorgi da una tosse stizzosa, e perchè appena si siedono tutti saltano più in là di almeno tre sedie. Poi iniziano a tirare fuori i fazzoletti, ne fanno fuori almeno due pacchetti, e via di nuovo con la tosse, sputacchi, rantolii; il tutto culmina con tosse e sternuti e un principio di soffocamento. Dopo quello resta solo l'ambulanza.

I batterio fobici.
Arrivano e puliscono la sedia. Dopo ogni cosa che toccano passano alla boccetta di amuchina lavamani, via con il primo giro e anche un secondo, cercando di ammazzare tutti i batteri possibili e immaginari, a volte provano anche con l'acqua Santa.

La squadra di calcio.
Non escono mai da soli, ma portano sempre tutta la famiglia, dal nonno al bebè di pochi mesi, mentre il nonno scruta con occhi porcini la badante dell'est, i pargoletti mettono a fuoco e fiamme tutta la sala d'attesa, solitamente hanno dietro anche quei gagliardi giochini elettronici che emettono suoni simpatici ogni secondo, facendo sclerare chiunque sia lì dentro. Il medico psichiatra della porta accanto inizia già a fregarsi le mani, con occhi a forma di euroni.

Gli empatici.
Di solito sono lì per la stessa cosa che hai tu. Salvo poi, quando sei entrato, essere lì per la stessa cosa di chi era dietro di te. Gli Zelig della malattia. Istrionici, possono passare in rassegna tante malattie quante sono le persone nella sala d'attesa, compreso il chiuaua con il vestitino della national football league.

I multitasking.
Quelli che guai ad uscire fuori casa senza cellulare, pc portatile, tablet, Kindle, i-pad, chiavetta e cuffiette. Li riconosci perchè entrano parlando al cellulare a voce alta ed escono dalla dottoressa continuando a parlare al cellulare a voce alta, passando con nonchalance dall'argomento commercialista, a butta la pasta sto arrivando a casa, fino a Tizio si strombazza Tazia facendo le corna a Tizia. Peccato che Tizia sia seduta nella sala d'attesa e appena saputo di essere cornuta, esca imbufalita alla ricerca di Tizio e Tazia, che verranno picchiati a suon di mestolate in testa. Nell'attesa devi stare molto attendo a non farti immortalare, perchè potresti ritrovarti su Facebook nella ridente posa di "ho fatto tana ad una caccola". Al prossimo giro stai sotto tu.

Quelli della Sindrome da Dottor House.
Si improvvisano medici, se solo fai lo sbaglio di raccontarti, trovano l'origine, la causa, la diagnosi e la cura, ai tuoi acciacchi. Potrebbe anche succedere di vederli tirare fuori anche una cartella clinica da pizzarti direttamente sul collo. E questi vanno felicemente in coppia con:

Gabriella Seconda 2.0
Categoria della quale fa parte anche la sottoscritta  (e non potrebbe essere altrimenti, visto il titolo del blog). Amano raccontarsi e raccontare il motivo per il quale sono lì, in una sorta di autoanalisi Freudiana, se incontrano quelli con la sindrome da dottor House, è la fine, solitamente dimenticano anche il motivo per il quale sono venuti e se ne vanno via allegramente insieme, curati e psicoanalizzati.

E c'è una cosa che non cambierà mai, che penso sia il leitmotiv di tante sale d'attesa mediche: le riviste. Quelle non cambiano mai. Nel senso che non cambiano proprio. Son quasi tutte gossippare e femminili. C'è sempre questo tavolino in mezzo, solitamente è il Lack dell'Ikea nero, con queste riviste scolorite e consunte vecchie di mesi se non addirittura di anni.

Il consiglio per resistere all'attesa e convivere amabilmente con la fauna che pullula le sale d'attesa, resta sempre lo stesso: un buon libro e armarsi di Santa pazienza.