mercoledì 31 luglio 2013

facciamo finta che.....

Vi dirò una cosa, quello strano fenomeno che si chiama Cosplay, ovvero "termine della lingua giapponese che indica la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile in un determinato ambito e interpretarne il modo di agire"( fonte wikipedia), in realtà, l'ho inventato io.
Ricordo che ero bimbetta quando io e una mia amica ci vestimmo da Candy Candy, che fantasia poi, neanche una della due che facesse che so, Annie, Terence o il procione, e ci cucimmo i vestiti aiutate da mamme e nonne, quasi uguali, neanche uno nella versione Candy infermierina, e cosplayate così andammo ospiti di una tv regionale che adesso non esiste più a parlare del cartone animato (io l'ho sempre detto che sono una finta timida).
Il dubbio che quella rete televisiva fallì per colpa nostra agghindate da Candy Candy, resterà per sempre.
E non era neanche carnevale.
Ma io il cosplay l'ho sempre applicato per qualsiasi cosa mi "attraesse" in tv.
Esempio negli sport, per seguire il tennis mi armavo di racchetta e gonnellino, il tutto dal divano di casa mia, ovvio, che io son sempre stata bravissima negli sport "da divano".
Per un certo periodo sono stata anche Nikka Costa, bambina canterina che andava per la maggiore ai miei tempi, ancora prima di trasmissioni come Io canto e gli inquietanti bambini della Clerici.
Mi mettevo le cuffie seguendo il testo di On my own, giusto per non dare fastidio a nessuno, e cantavo a squarciagola immedesimandomi nel personaggio, incurante del fatto che sì, il disco lo sentivo solo io, ma la mia voce la sentivano tutti, soprattutto i vicini.
Per i telefilm mi facevo le trecce come Laura della casa nella prateria, gonnellone folk e lentiggini disegnate con la matita marrone in tutto il viso.
Ricordo anche che per il cartone animato Ryu ragazzo delle caverne, io e la mia combriccola ci costruimmo un bastone con la punta e andavamo in giro per tutto il quartiere a caccia di Dinosauri,e inutile dire, visto che il mio quartiere non era Jurassick Park, neanche l'ombra di un Velociraptor.
Andammo anche al cinema a vedere Madonna in cercasi Susan disperatamente, reggiseno a vista, wayfarer neri o marrone scuro, capelli mossi con fiocchetti di pizzo vari, croci al collo, canottiera e pancino, ancora quando lo si poteva chiamare "ino" con l'ombelico di fuori, fuseaux che si chiamavano ancora così (son del geriatrico io) e minigonna sopra.
Ricordo ancora certe litigate, su chi doveva essere chi, che tutti volevano sempre essere lo stesso personaggio, un po' come quando si giocava a calcio e tutti volevano essere attaccanti e nessuno mai il portiere, che in porta si sa, si metteva sempre quello un po' sfigato, sempre lì fermo ad aspettare una palla, che quando e se arrivava, finiva sempre dentro.
Diciamo che adesso le cose sono un po' cambiate e giuro che se volessi anche essere il dottor House, non costringerò mai nessuno a farmi da paziente, e non metterò mai la striscia gialla "scene crime do not cross" alla CSI, ma giusto perché il telefilm non mi è mai piaciuto.

Però lo confesso, le trecce come Laura, ogni tanto, me le faccio ancora e gli stivali texani come Lori Singer/Ariel Moore in Footloose, li conservo ancora.

sabato 27 luglio 2013

specchio, specchio delle mie brame...

Che io ho l'autostima a giorni alterni, come le targhe alterne delle automobili.

Che capita che in giorni pari mi alzo, mi guardo allo specchio e vedendo le mie occhiaie peste più del solito, chiamo urlando l'amor mio e gli chiedo - ma che sarà mai? Non vedi che occhi neri e pesti, che sono un bel po' ipocondriaca, adesso vado a googolare su WikiSantoSubito che cosa potrebbe mai essere - che l'amor mio è molto molto paziente e mi tranquillizza perchè ormai mi conosce bene, e nel mentre tento disperatamente di domare il cespuglio d'alghe che ho per capelli e metto un fermacoda a contenere il tutto che Carrie Bradshaw di Sex & the City storcerebbe il naso ( ne ha parlato lungamente in una puntata dell'orrido fermacoda) poi tiro giù tutto l'armadio e lo butto sul letto, per poi uscire vestita con la mia prima scelta. Ma non è che sono sicura più di tanto.

Che capita che in giorni dispari mi alzo, mi guardo allo specchio e vedendo le mie occhiaie mi sento quasi gnocca come la stupenda portatrice sana di occhiaie Carolina Crescentini. Che mi danno quel non so che, infatti non lo so spiegare, ma fanno tanto diva d'altri tempi. Che ho la voce roca e più sensuale del solito, molto Marlene Dietrich, e toh, metto la prima cosa che capita e sembro una it girl, una Sienna Miller de noantri, con lo spillone woodoo infilato nel cespuglio comprato all'Isola d'Elba che in realtà sarebbe una di quelle matite etniche per fermare uno chignon, puntato proprio sopra la testa, sicura di me stessa.

Sono bipolare mica per ridere.

Che alla fine, c'è chi vede il bicchiere mezzo vuoto e chi quello mezzo pieno, io li vedo sempre tutti e due, a giorni alterni, pari e dispari come le targhe alterne delle automobili.

L'unica soluzione è bersela quella minchia di acqua che c'è nel bicchere, sperando che almeno non sia acqua, che sia deliziosamente frizzante, preferibilmente rosè e che abbia tante tante tante bollicine.

mercoledì 24 luglio 2013

royal baby 2.0

Che a me viene un po' da ridere.

Che è nato il royal baby ed è partito il circo mediatico.
No, non quello che girava già attorno da settimane ad futuro real pargolo, fatto di inquadrature direttamente sulla porta della clinica, dei giornalisti, dei pic nic improvvisati tra una telecamera e l'altra, ma quello di facebook, di twitter, dei social network.
Non capisco tutto questo accanimento per quello che è un lieto evento.
E partono i link copinculoni, che si sa molto spesso, il popolo del web è anche dotato di poca fantasia.
E quindi che si fa?
Si condivide il pensiero di altri.
Magari anche scontato e volgarotto, che non è neanche satira ma diventa battutaccia becera e pecoreccia, che la satira quando è fatta bene e da menti pensanti, diventa anche sublime e tocca livelli altissimi di ironia.
Invece per quello che è un evento meraviglioso, si toccano livelli di bassezza infinita e di una banalità assoluta.
Forse si è anche persa la capacità e la voglia di sognare.
Il matrimonio di lady D ha fatto sognare tantissime persone, c'era tutto il mondo incollato alla tv.
E non c'era fb, non c'erano i social network, forse non c'era neanche tutto questo cinismo che grazie a questo mezzo, si fa forte del fatto che sia così semplice condividere un link copinculone, senza idee personali, dove la prima minchiata diventa virale peggio del pulcino pio.
E si condivide quello che non ci piace e del quale non volevamo parlare e così facendo ne parliamo eccome, diventa il serpente che si morde la coda, il circo mediatico tanto odiato nel quale si diventa protagonisti comunque, perchè si sa, l'importante è esserci, se non ci sei non esisti.
Ma ben vengano queste notizie, sempre meglio delle orgettine, delle ruby, delle veline da gossip dell'ultima spiaggia, dei plastici di vespa, delle smorfie della Barbarella, di uomini e nonne della de flilippa.

Benvenuto al Royal baby, inconsapevole protagonista e figlio di un mondo 2.0.

Che alla fine, solo una cosa aveva messo d'accordo tutti, accomunando "le grandi menti pensanti del web", quel pensiero elevato ed urlato a gran voce, condiviso, ed è proprio il caso di dire, copinculato alla grande: il  meraviglioso culo della Pippa.
Che non è l'orrido cartone animato Peppa Pig, ma la sorella di Kate.

Che a me viene un po' da ridere, ma neanche poi tanto.

martedì 23 luglio 2013

scostumata

Io vorrei capire che cosa hanno da lamentarsi quelle che avranno anche un chiletto in più, ma una minchia di costume lo trovano comunque.
Non parliamo poi di quelle alle quali sta bene tutto, ma si lamentano in continuazione.
Che oggi sono diventata scema a cercare una parvenza di costume dove riuscire a fare entrare, non tanto il culo che se spingi e tiri alla fine entra, ma le mie tette.
Santa Upim e Santa Oviesse a sto giro non mi hanno assistito, allora ci siamo fatti un viaggio io e l'amor mio, fino alla Decathlon.
Ecco, anche lì, visto che quei due pezzi personalizzabili stanno bene solo alla tipa (e a chi ha la fortuna di avere le tette come Dita Von Teese) che nella pubblicità non cambia mai il costume (sta zozzona) ma solo i laccetti, mi è toccato provare non dei costumi, ma degli scafandri.
In quei simpatici spogliatoi fatiscenti stile cabina improvvisata che si faceva al mare mettendo più asciugamani intorno all'ombrellone, solo che alla Decathlon sono chiusi con un mega occhielli e qualche alamaro, come quello dei Montgomery.
L'ultima volta si solo slacciati (della serie cose che capitano solo a me) e sono restata quasi nuda alla mercè di tutti.
Sicché questa volta, l'amor mio faceva il palo, mentre io cercavo disperatamente di indossare qualche costume intero, che poi riesci ad entrarci dentro ma non è detto che riesci ad uscirne.
Un po' come succedeva da piccoli (della serie cose che capitano solo a me - la vendetta), quando infilavi la testa tra due pali (nello specifico il palo di un cartello con divieto di sosta giusto nel piazzale della Chiesa vicino casa mia) ed entrava che era un piacere, ma poi non riuscivi più a farla uscire.
La riflessione era sempre la medesima: così come era entrata doveva comunque uscire.

Quindi la stessa cosa vale per il culo.

Armarsi di santa pazienza e riuscire a far fare cucù al tutto, cercando di non muoversi stile elefante in una cristalleria e tenendo sempre l'occhio verso gli alamari del cabinato spogliatoio, che si sa, l'amor mio ad un certo punto si fa sempre i cazzi suoi per sfinimento.

Comunque il costume l'ho comprato, è di tessuto goffrato color Lavanda (costume intero donna Kaipearl, se volete "rifarvi gli occhi" googolatevelo) , giusto perchè nero della mia taglia non c'era.
La descrizione diceva che univa eleganza e comfort contenendo il tutto.

Io dentro a quel coso mi sento tanto un fiorellino di lavanda provenzale.

Nel senso di tutto un campo intero di lavanda, ovvio.



domenica 21 luglio 2013

Felicità 2.0

Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelle che ti passano nelle foto felici di facebook, con la bocca piena di cibo e risate, in quelle foto che arrivano "tutteinsieme", una moltitudine di foto con gli occhi a fessura per il gran ridere, con le pacche sulle spalle, con le smorfie e le lingue fuori da "dica 33 mi faccia una diagnosi dottore", con gli abbracci in cordata da tiro alla fune, con l'aragosta moribonda nel piatto e le luci dimenticate da capodanno, con il vestito buono da sagra della polenta concia, della Messa la Domenica, con tutto il mappamondo da luoghi felici per foto felici.
Felici davvero.
Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelle felici davvero, che si baciano come se non avessero più un futuro, che lui ci mette anche un pezzetto di lingua a tradimento e lei finge di essere sorpresa e si mette la mano sulla bocca con finto imbarazzo, che fanno le foto da tutti i cessi che incontrano sulla loro strada, che uniscono pollici e indici a formare un cuore e poi lo fanno anche sulla sabbia che poi si incazzano perché si devono rifare tutta la nail art, con le bocche a culo di gallina, la messa impiega da parrucchiere appena fatta che quasi l'odore della lacca lo riesci a sentire anche tu.
Mi faccio domande felici sul prima. Sul prima di fare la foto felice.
Se lei gli ha detto stronzo, se lui l'ha mandata a cagare, se qualcuno li ha messi tutti in posa tipo maestro gran cerimoniere, se hanno fatto le bizze come i bambini che non si vogliono mai fare fotografare, che tu cerchi di aggiustarli come si fa con le bambole di pezza e ti prendi i calci negli stinchi, e qualcuno magari ha detto "cheese" e tutti l'hanno ripetuto come automi e magari qualcuno ha anche detto "meerde" che magari tutti han fatto un risolino perché la cosa era sembrata buffissima e faceva così tanto ridere, che magari lei aveva il ciclo ed era incazzata e lui sapeva benissimo che lei gli metteva le corna con quello a sinistra nella foto quindi era incazzato anche lui, che magari l'altra ancora non aveva voglia di uscire perchè gli stavano tutti sul cazzo, gli stavano sul cazzo tutti quelli felici.
Quelli felici davvero.
Quelli che se gli osservi gli occhi vedi che guardano tutti per i cazzi loro, quelli felici con le foto modificate con rose, angeli, unicorni, lune e fiori accanto che non sono manco morti e forse per questo sono felici.
Felici davvero.
Che lei ha in braccio il cagnolino con il tutù fucsia e il cappellino rosa glitterato ed è vestita in pendant con il cagnolino dal musetto umiliato, che c'è una pila di libri felici immensa, che magari nessuno ha mai letto ma fa felice dire guarda quanto leggo, e son tutti libri felici, felici come me, che mangio fuori casa al ristorante più cool cinque giorni su sette, che ho il fidanzato perfetto e strafigo con le sopracciglia ad ali di gabbiano e che usa tutte le mie creme, che ho la Louis Vuitton, la Celine e la Falabella che non è l'amica zoccola ma una borsa figa che costa un botto, che guardo film del Sundance, che io lo so che non è un solare da mettere in spiaggia quando ballo attorno al chiringuito con il mio cocktail pink fluo in mano, ma un festival di cinema indipendente che me l'ha detto Santo wikipedia, felice come me che "vedogentefacciocose", che metto foto felici su facebook così i miei amici rosicano tutti e diventano verdi dall'invidia sti sfigati, che se non metti foto felici tu non esisti e non sei nessuno e quindi faccio foto felici da mulino bianco e così me ne convinco anche io e me lo ricordo, insomma, sì, di essere felice.
Felice davvero.

Io a volte le invidio quelle persone felici, sì sì, quelli delle foto felici di facebook, quelli felici davvero.

Ma davvero davvero.

sabato 20 luglio 2013

rosa/rosae

Avete presente quelle trasmissioni che imperversano alla televisione, tipo "cuochi e fiamme" con mister "gnocco" Rugiati, dove tra i giurati per decidere il piatto vincente dei concorrenti c'è anche un critico gastronomico?
Ecco, mi ha fatto sempre impazzire la descrizione del piatto assaggiato, al pari di certi sommelier quando decantano il vino e ci "vedono" dentro di tutto di più. Della serie, nel caso culinario, l'esposizione della delicatezza della mozzarella dal sentore di latte di malga appena munto (che neanche Heidi, il nonno e tutte le caprette) che si commuove sciogliendosi in bocca e la poesia con retrogusto acidulo di una verdeggiante ruchetta croccante che eccita le papille gustative, spero solo quelle, senò abbiamo trovato il nuovo Viagra.

Ma dai cazzo, direbbero i soliti idioti, non si puo'.

Per me una mozzarella è una mozzarella e in sto caso, sopra una minchia di rucola.
Penso che la rucola se la siano fumata, visto gli effetti che fa.

Comunque io sono la stessa cosa per i colori, per me il rosa è rosa, non ci piove, non lo potrai mai spacciare per rosa con punte di arancio e devianze di corallo. E così per tutti gli altri colori.

Che oggi ero da Carpisa e una commessa ha ulutato su di me facendo stalking al mio smalto, della serie fermi tutti blocchiamo il traffico saldesco tra un bauletto e una shopper, tra una borsa mare e un orrido porta cellulare in silicone riciclato (che sia stato un bel paio di tette un tempo che fu?), tra una ragazza e una signora che si stavano strappando extension e capelli per una bowling bag con un teschio sopra, e mi ha chiesto di che colore fosse il mio smalto.

- rosa - ho risposto io.

Mi è parsa scandalizzata dalla mia risposta stringata ed essenziale e mi ha detto:

- ma no signora, non è rosa, mi sembra un Dior ultima collezione o uno Chanel fucsia vitaminico vibrante con bagliori glitterati rosso amaranto -

Questa si è fumata anche lei la rucola, ho pensato io e le ho risposto:

- 1,99 da Acqua e Sapone ed è rosa, rosa culo di bebè -

 E' evidente che il mio pregio migliore non sia il savoir-faire, infatti la commessa si è volatilizzata davanti ai miei occhi ed è sparita penso dentro ad uno spazio temporale che non contempli la sottoscritta.

Ho un futuro da fashion blogger, lo so.

giovedì 18 luglio 2013

che poi vorrei sapere

Che poi vorrei sapere dove sono tutti quelli che ti amano per tutti i tuoi difetti.

Che nei film da commedia rosa americana lei è così buffa con quel nasotto a patata che lui proprio non puo' fare a meno di darle un buffetto giusto sul naso, e lei parla tanto, troppo e a sproposito, è logorroica all'ennesima potenza ma lui ama proprio quello del suo carattere e pende dalle sue labbra e la ascolta attentamente anche se magari parla di cose futili, frivole ed assolutamente inutili.
E veste in modo così originale, così fuori dagli schemi, con colori da emicrania potente visti così tutti insieme.
Che il naso a patata ce l'ho anche io, e che se mi vestissi così mi direbbero di andare direttamente al Circo.
E sono logorroica e parlo troppo, spesso e a sproposito e anche l'amor mio mi ama per tutti i miei difetti, che ieri sera ho aspettato che lui la notasse la tovaglia nuova, che era impossibile non notarla così blu elettrico e con tutti i pois bianchi, e allora gli ho chiesto forzandolo un po' mentre stava mangiando e guardando la tv:

- ti piace la tovaglia nuova? -

- buona - ha risposto lui.

Che poi vorrei sapere dove sono tutti quelli che ti amano per tutti i tuoi difetti.

mercoledì 17 luglio 2013

perchè io valgo (e non sto parlando dell'alluce)

La verità è che se una persona ti manca, tu glielo dici e glielo fai sapere.

Inizio a crederci poco ai silenzi pieni di tutto, all'universo che risponde, ai messaggi in bottiglia che prima o poi arriveranno magari sotto forma di numeretto rosso versione pvt via facebook, mi sanno di favoletta di Babbo Natale, qualcosa di sentito o che ci hanno raccontato, robe da folklore locale, da sagra dello spaghetto all'amatriciana, tipo leggenda metropolitana; ma in parole povere: una presa per il culo.
La verità è che certe cose misteriosissime da "ecco che ha capito tutto anche se non ho proferito parola", accadono solo nei film, quelli belli belli da commedia rosa ammerecana, solitamente con Meg Ryan e Julia Roberts.
E non penso che dire ad una persona che ci manca sia da coraggiosi, penso che sia da vigliacchi non farlo, che è diverso.
Se una persona ci manca dovrebbe saperlo, che ne sai, magari gli si illumina la giornata. Non vorremmo mica che stia al buio per colpa nostra, al massimo solo perchè si è dimenticato di pagare una bolletta.
Quindi consiglio di alzare il culo o il mouse, visto che siamo nell'era dei social network e farglielo sapere.
Che nessuno qua ha doti paranormali, la palla di cristallo o il pigiamino di Superman, al massimo quello dell'uomo torcia se il pigiamino è in acrilico e tutte le volte che ci giriamo nel letto facciamo scintille.

La verità è che se una persona ti manca, tu glielo dici e glielo fai sapere.

martedì 16 luglio 2013

I cinque miti nascondi ciccia da sfatare

Il mappazzone in vita.

Il mappazzone è comunemente chiamato felpa, felpina, felpetta, volendo anche una giacchetta, che viene messo astutamente in vita per coprire quello che fa provincia: il culo.
Se trattasi di giacchetta, la medesima non deve essere troppo spessa senò si rischia l'effetto Lara Croft con zainetto incorporato, ma messo direttamente sul culo.
Inutile dire che tutto questo fa effetto mappazzone ed ingrandirà ancora di più il vostro culo facendolo sembrare il doppio, con la giacchetta, il triplo.

Cinquanta sfumature di nero.

Il nero ad oltranza, perchè si sa sfina e non importa che fuori ci siano 38 gradi all'ombra, pur di sembrare più snelle si va incontro al solleone con il sorriso. Effetti collaterali svenimenti vari, qualcuno potrebbe scambiarci per la lavagna di scuola e buttarci addosso un cancellino, effetto vedova in agguato.
Concessioni: il blu e forse dico forse il bluette, ma proprio se siamo in giornata sì.
In realtà il nero è triste, fa uccello del malaugurio e non siamo Audrey in Colazione da Tiffany.

La maglia XXXL
La maglia extralarge sta bene solo se sei un campione di Basket alto due metri, ma non è il nostro caso visto che non giochiamo nell'NBA, solitamente fa solo donna incinta e se siete stufe di sentirvi chiedere "se aspettate" e non siete alla fermata dell'autobus, lasciate perdere.
Se avete la mia età, sui quaranta e dintorni, rimpiangerete presto quella fatidica domanda, ma questa è un'altra storia.

La borsa a tracolla

La borsa a bisaccia o postina che dir si voglia, copre il fianco abbondante, il fianco, appunto, uno non due, quindi a meno che non abbiate due fondine da pistoleros per borsa, non serve a nulla, a meno che non vi piaccia, in quel caso ben venga.

Il granfolulard copridivano

Ovvero il megapareo in spiaggia. Coprirsi come un'odalisca per fare la danza dei sette veli in spiaggia non va bene, tanto il pareo che coprirebbe un divano a tre sedute vi scivola di là, slitta di giù, sgomma a lato e non si puo' passare tutta la giornata a metterlo a posto. Tanto vale mettersi uno scafandro e fare il palombaro.
E poi, come si allaccia, mette, si tiene su un pareo resterà uno di quei grandi misteri da girare a Giacobbo a Voyager.

Inutile dire che ognuno alla fine fa quello che vuole, alla fine nessuno ci potrà mai dire come ci dobbiamo vestire o cosa ci sta meglio, perchè è un classico, solo noi sappiamo cosa indossare per sentirci a nostro agio e che ci fa sentire bene, fosse anche quel pantalone con quei disegnini cashmire anni 80 ( adesso fa figo dire "paisley") che non donerebbero neanche a Kate Moss.

lunedì 15 luglio 2013

Sala d'attesa: dal medico

Ieri sono andata dal Medico di base.

Avete mai notato cosa fanno e come si comportano le persone nella sala d'attesa, mentre aspettano il loro turno?

Analizziamo la fauna che solitamente pullula la sala d'attesa.

Quelli con l'ansia da numerino.
Innanzitutto a prenderlo sto numerino. Dal mio medico, che è uno studio associato, ci sono più medici e occorre prendere il numerino, per evitare code e litigi vari. Già per prendere il numero, diventano rossi in faccia e guardano con occhi imploranti qualcuno che gli dica che razzo di numero devono prendere. Una volta conquistato il suddetto, se lo rigirano in mano guardandolo ogni secondo, finchè quando arriva quasi il loro turno, non capiscono più che numero hanno, perchè il numerino è sudato, tutto tritato e non più leggibile.

Le cleptomani della rivista.
La signora che si guarda in giro come se stesse per svaligiare una banca, che appena pensa di non essere vista, con scatto di mano strappa la pagina di una rivista che proprio non se ne puo' fare a meno, e forsennatamente se la mette in borsa. E c'è quella di non mi faccio i cazzi miei, che la guarda con fare riprovevole scuotendo la testa come a dire: ma che figura di mer...coledì.

I maratoneti
Iniziano a scalpitare ed allenare i piedi già da seduti, un po' di stretching per iniziare, tamburellano i piedi e cambiano posizione più volte. Poi con scatto da centometristi si alzano in piedi e iniziano ad andare avanti e indietro nel corridoio, più e più volte, guardando sempre l'ora, ogni tre secondi, scalpitando.

Quelli del pic nic fuori porta.
Iniziano a tirare fuori i viveri, sapendo che sarà una lunga attesa. Merendine, patatine, pizzette, panini imbottiti, bibite, sbriciolando ovunque, lasciando tracce oleose di focaccia (nella versione genovese) sulla maniglia delle porte, guardandoti come a dire: hai visto quanto avanti sono, e tu che non ti sei portata nulla, ciccia!

Gli intercettatori .
Si piazzano nella sedia più vicina alla porta del medico e assumono una posizione allungata stile giraffa cercando di carpire tutto cio' che succede all'interno della sala medica, cambiando espressione a seconda di quello che pensano di capire, che solitamente è sempre sbagliato.

Gli untori.
Appena arrivano te ne accorgi da una tosse stizzosa, e perchè appena si siedono tutti saltano più in là di almeno tre sedie. Poi iniziano a tirare fuori i fazzoletti, ne fanno fuori almeno due pacchetti, e via di nuovo con la tosse, sputacchi, rantolii; il tutto culmina con tosse e sternuti e un principio di soffocamento. Dopo quello resta solo l'ambulanza.

I batterio fobici.
Arrivano e puliscono la sedia. Dopo ogni cosa che toccano passano alla boccetta di amuchina lavamani, via con il primo giro e anche un secondo, cercando di ammazzare tutti i batteri possibili e immaginari, a volte provano anche con l'acqua Santa.

La squadra di calcio.
Non escono mai da soli, ma portano sempre tutta la famiglia, dal nonno al bebè di pochi mesi, mentre il nonno scruta con occhi porcini la badante dell'est, i pargoletti mettono a fuoco e fiamme tutta la sala d'attesa, solitamente hanno dietro anche quei gagliardi giochini elettronici che emettono suoni simpatici ogni secondo, facendo sclerare chiunque sia lì dentro. Il medico psichiatra della porta accanto inizia già a fregarsi le mani, con occhi a forma di euroni.

Gli empatici.
Di solito sono lì per la stessa cosa che hai tu. Salvo poi, quando sei entrato, essere lì per la stessa cosa di chi era dietro di te. Gli Zelig della malattia. Istrionici, possono passare in rassegna tante malattie quante sono le persone nella sala d'attesa, compreso il chiuaua con il vestitino della national football league.

I multitasking.
Quelli che guai ad uscire fuori casa senza cellulare, pc portatile, tablet, Kindle, i-pad, chiavetta e cuffiette. Li riconosci perchè entrano parlando al cellulare a voce alta ed escono dalla dottoressa continuando a parlare al cellulare a voce alta, passando con nonchalance dall'argomento commercialista, a butta la pasta sto arrivando a casa, fino a Tizio si strombazza Tazia facendo le corna a Tizia. Peccato che Tizia sia seduta nella sala d'attesa e appena saputo di essere cornuta, esca imbufalita alla ricerca di Tizio e Tazia, che verranno picchiati a suon di mestolate in testa. Nell'attesa devi stare molto attendo a non farti immortalare, perchè potresti ritrovarti su Facebook nella ridente posa di "ho fatto tana ad una caccola". Al prossimo giro stai sotto tu.

Quelli della Sindrome da Dottor House.
Si improvvisano medici, se solo fai lo sbaglio di raccontarti, trovano l'origine, la causa, la diagnosi e la cura, ai tuoi acciacchi. Potrebbe anche succedere di vederli tirare fuori anche una cartella clinica da pizzarti direttamente sul collo. E questi vanno felicemente in coppia con:

Gabriella Seconda 2.0
Categoria della quale fa parte anche la sottoscritta  (e non potrebbe essere altrimenti, visto il titolo del blog). Amano raccontarsi e raccontare il motivo per il quale sono lì, in una sorta di autoanalisi Freudiana, se incontrano quelli con la sindrome da dottor House, è la fine, solitamente dimenticano anche il motivo per il quale sono venuti e se ne vanno via allegramente insieme, curati e psicoanalizzati.

E c'è una cosa che non cambierà mai, che penso sia il leitmotiv di tante sale d'attesa mediche: le riviste. Quelle non cambiano mai. Nel senso che non cambiano proprio. Son quasi tutte gossippare e femminili. C'è sempre questo tavolino in mezzo, solitamente è il Lack dell'Ikea nero, con queste riviste scolorite e consunte vecchie di mesi se non addirittura di anni.

Il consiglio per resistere all'attesa e convivere amabilmente con la fauna che pullula le sale d'attesa, resta sempre lo stesso: un buon libro e armarsi di Santa pazienza.